CNR

Perché la Circolare 9/2019 è in larga parte illegittima

Pubblichiamo molto volentieri questo contributo “tecnico” e molto dettagliato di Gianpaolo Pulcini, contando che possa essere utile al dibattito in corso sulla circolare 9/2019 relativa all’orario di lavoro di Ricercatori e Tecnologi.

Perché i Ricercatori e Tecnologi del CNR non sono soggetti a sistemi di rilevazione dell’orario di lavoro

L’obbligo di documentare l’orario di lavoro di tutto il personale degli EPRattraverso sistemi meccanici od elettronici di rilevazione” fu introdotto dall’art. 9, comma 7, del CCNL del 1987 (DPR 568/1987), a recepimento dell’art. 7, comma 4, del DPR 13/1986 contente l’accordo intercompartimentale nel pubblico impiego. Tale obbligo di documentare l’osservanza dell’orario di lavoro di tutto il personale degli EPR “attraverso sistemi automatici” fu confermato nell’art. 39, comma 1, del CCNL del 1991 (DPR 171/1991).

Ma il CCNL del 1998, stipulato per i R&T nell’Area della Dirigenza, ha regolamentato l’orario di lavoro dei R&T attraverso l’art. 35 che non conteneva alcun obbligo di documentare l’osservanza dell’orario di lavoro dei R&T attraverso sistemi automatici o non automatici. Per di più, l’art. 80 “Disapplicazioni” di tale CCNL esplicitamente stabiliva che sono inapplicabili, nei confronti del solo personale destinatario del CCNL (Dirigenti amministrativi e R&T), alcune precedenti norme contrattuali, in particolare “art. 39 DPR 171/91; artt. 7 e 8 DPR 13/86; artt. 9 e 10 DPR 568/87“, ossia proprio quelle norme che imponevano l’obbligo di documentare l’osservanza dell’orario di lavoro anche dei R&T attraverso sistemi automatici.

Rimaneva, pur tuttavia, in vigore la legge n. 724/1994 sul pubblico impiego che, all’art. 22, comma 3, stabiliva che “L’orario di lavoro, comunque articolato, è accertato mediante forme di controlli obiettivi e di tipo automatizzato“. Tale legge appariva (a molti) sovraordinata rispetto alla norma contrattuale.

La svolta sulla materia è avvenuta nel 2006 quando la Cassazione Civile, con la sentenza n. 11025, nell’annullare in via definitiva il licenziamento di un docente di scuola che non usava il cartellino magnetico in entrata e uscita dall’Istituto, ha affermato che “La giurisprudenza amministrativa è univoca nell’affermare l’esigenza di una fonte normativa specifica per la facoltà di sottoporre il personale dipendente al controllo delle presenze mediante orologi marcatempo o altri sistemi di registrazione“, citando a supporto di ciò numerose sentenze dei tribunali amministrativi regionali (“TAR Lazio, sez. 3^, 4 aprile 1985 n. 1628, che ha dichiarato illegittima la deliberazione del consiglio di amministrazione dell’Inps che ha esteso il sistema di rilevazione delle presenze mediante orologi marca tempo al personale del ruolo legale; idem, sez. 2^, 2 gennaio 1990 n. 18; idem 4 gennaio 1990 n. 24, in tema di attuari Inail; TAR Liguria 28 ottobre 1985 n. 566 in tema di legali Inail; TAR Lazio, sez. 3^, 2 febbraio 1995 n. 250, che ha dichiarato illegittimo il provvedimento rettorale che ha imposto gli orologi marcatempo al personale docente universitario presso i policlinici, senza che tale modalità di controllo delle presenze fosse prevista dalla convenzione tipo, e quindi in assenza di fondamento normativo specifico“) che riguardavano altre figure professionali, anch’esse non assoggettabili al cartellino.

Stabilita quindi l’esigenza di una fonte normativa specifica (e non generica quale è la legge n. 724/1994), la Corte Suprema di Cassazione ha quindi definito illegittima la disposizione impartita del Preside al personale docente di timbrare il cartellino dato che, come riportato nella sentenza, “l’art. 89 del medesimo contratto [il CCNL del 24 luglio 2003 del comparto della scuola] prevede l’obbligo per il personale ATA di adempiere alle formalità previste per la rilevazione delle presenze, mentre analogo obbligo non è previsto per il personale docente“.

Quanto osservato dalla Cassazione per il comparto della scuola trova identico riscontro nel settore della Ricerca. Infatti, mentre il vigente art. 48 del CCNL del 21 febbraio 2002 che disciplina l’orario di lavoro del solo personale tecnico ed amministrativo stabilisce al comma 4 che, per tale personale, “l’osservanza dell’orario di lavoro da parte dei dipendenti è accertata mediante controlli di tipo automatico“, l’analoga norma contrattuale per i R&T, ossia l’art. 58 del medesimo CCNL del 21 febbraio 2002 (successivamente integrato con l’art. 21 del CCNL del 7 aprile 2006), non prevede alcuna forma di controllo dell’osservanza dell’orario di lavoro dei R&T. Solo “per gli Enti di ricerca e di sperimentazione la cui attività si lega ad eventi eccezionali ovvero a scadenze istituzionali, − stabilisce il succitato art. 21 del CCNL del 2006 − la presenza in servizio di ricercatori e tecnologi può essere disciplinata, previa concertazione, in funzione degli incarichi loro conferiti e di specifiche esigenze organizzative connesse ai processi produttivi“.

Inoltre, la possibilità di introdurre sistemi di rilevamento e di controllo dell’orario di lavoro dei Ricercatori e Tecnologi attraverso i contratti collettivi integrativi è ugualmente preclusa in quanto, come affermato dalla Cassazione Civile (sentenze n. 9146 del 2009 e n. 14530 del 2014), “la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, restando escluso che le pubbliche amministrazioni possano assumere obbligazioni in contrasto con i vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali“, “con la conseguenza che le clausole difformi [ai CCNL] sono nulle e non possono essere applicate“.

Di conseguenza, i R&T del CNR e della maggioranza degli EPR, così come i docenti di scuola, i legali dell’INPS e dell’INAIL, i docenti universitari presso i policlinici, non sono soggetti al controllo delle presenze mediante orologi marcatempo o altri sistemi di registrazione.

Dell’evidenza che i R&T non sono soggetti a sistemi di controllo dell’osservanza dell’orario di lavoro ne dà prova la medesima normativa contrattuale dato che all’art. 5 “Mense e servizi sostitutivi”, comma 6, del CCNL del 2002, l’assegnazione dei buoni pasti ai soli R&T non avviene sulla base della misurazione, da parte del sistema automatico, dell’orario di lavoro svolto giornalmente (come accade invece per il personale tecnico ed amministrativo) ma “sulla base di apposite dichiarazioni” del R&T “di effettuare l’orario di lavoro di cui al comma 2“. Se anche i R&T fossero soggetti a sistemi automatici di controllo dell’orario di lavoro tali “apposite dichiarazioni” non avrebbero motivo di essere loro richieste dal CCNL, dato che l’orario di lavoro giornaliero dei R&T sarebbe computabile sommando quanto riportato dal cartellino a quanto eventualmente certificato come attività fuori sede.

Inoltre, assicurare la presenza in servizio “corredandola in modo flessibile alle esigenze della propria attività scientifica e tecnologica, agli incarichi loro affidati, all’orario di servizio della struttura in cui operano, tenendo conto dei criteri organizzativi dell’Ente“, così come previsto dal comma 2 dell’art 58 del CCNL del 2002, non presuppone certamente l’utilizzo di sistemi automatici per il controllo dell’orario di lavoro.

In totale sintonia con quanto fin qui affermato, si sono recentemente pronunciati prima il Tribunale di Bologna e poi la Corte d’Appello di Bologna nell’esaminare il caso del licenziamento di un Ricercatore di un Istituto del CNR di Bologna, “reo” agli occhi dell’Ente di non aver utilizzato il sistema automatico di rilevazione dell’orario di lavoro introdotto nell’Istituto a valle di un accordo sindacale locale del 2009.

In particolare, il Tribunale di Bologna (con l’ordinanza del 20 marzo 2013, prima, e con la successiva sentenza del 7 febbraio 2014, poi), nel richiamare la succitata sentenza n. 11025/2006 della Cassazione, ha affermato che “per i ricercatori e tecnologi […] non è stata prevista la possibilità di accertare l’osservanza dell’orario di lavoro mediante strumenti automatici di rilevazione delle presenze, salve le determinazioni — a quanto risulta mai assunte — di una costituenda Commissione paritetica“. Né la contrattazione integrativa di ente, di cui all’art. 28 del CCNL del 7 aprile 2006, “ha ricevuto la facoltà di disciplinare, in deroga o a completamento delle disposizioni del contratto collettivo nazionale, la materia dell’orario di lavoro per i ricercatori e tecnologi“, per i quali, ai sensi dell’art. 21 del medesimo CCNL del 7 aprile 2006 “eventuali modifiche possono essere disposte, previa concertazione, solo per gli Enti di ricerca e di sperimentazione la cui attività si lega ad eventi eccezionali ovvero a scadenze istituzionali* […] *per altro nel rispetto degli incarichi conferiti ai ricercatori e tecnologi e di specifiche esigenze organizzative connesse ai processi di produzione“.

Il Tribunale ha quindi annullato il licenziamento, ha reintegrato in servizio il collega e condannato l’Istituto al pagamento della somma corrispondente alle retribuzioni per il periodo dal licenziamento all’effettiva reintegra.

Di analogo tenore è stata la sentenza del 29 luglio 2015 della Corte d’Appello di Bologna (sentenza divenuta definitiva dato che il CNR non ha presentato ricorso in Cassazione) che, nel confermare la sentenza in primo grado di annullamento del licenziamento, ha affermato che “deve ritenersi non solo che i ricercatori e tecnologi abbiano l’autonoma determinazione del proprio tempo di lavoro ma che sia, correlativamente, esclusa l’introduzione di forme di disciplina dell’orario di lavoro e di controllo sull’osservanza dello stesso, salve le eventuali determinazioni di una costituenda commissione paritetica” prevista a livello di intero comparto e non di singolo Ente.

Inoltre, la Corte di Appello, rifacendosi a precedenti sentenze della Cassazione, ha ribadito che “l’assenza di un espresso divieto per la contrattazione integrativa” di introdurre forme di disciplina dell’orario di lavoro dei R&T non può significare, come sostenuto dal CNR, che ciò che non è espressamente vietato nel CCNL possa essere oggetto di un “intervento regolatore” da parte della contrattazione integrativa, dato che questa “si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali” e non può quindiassumere obbligazioni in contrasto con i vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti […], _con la conseguenza che le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate (_cfr. Cass., 9146/09; Cass., 14530/14__)”.

Da notare che tra i motivi d’appello addotti dal CNR c’era anche l’assunzione che il sistema di rilevazione “a badge” avesse lo scopo di “verificare i tempi di presenza in sede anche al fine di consentire una regolare applicazione delle norme in materia di tutela del lavoro“, norme tra l’altro non citate nella sentenza (in quanto evidentemente inesistenti). Anche questo motivo d’appello non è stato però ritenuto fondato dalla Corte. Diversamente, si sarebbe dovuto ritenere che, ad esempio, tutti i Tribunali e tutti gli Atenei italiani non rispettano le norme in materia di tutela del lavoro, dato che magistrati e docenti/ricercatori universitari non utilizzano alcun badge!

Infine, va sottolineato che in nessuno dei gradi di giudizio presso i tribunali di Bologna il CNR ha addotto, a giustificazione del presunto obbligo del badge per i R&T, il rispetto di alcuna norma contenuta del d.lgs. 165 del 2001, a dimostrazione di quanto tale decreto legislativo (troppo spesso citato dall’Ente in sue Circolari e pareri per giustificare controlli e limitazioni all’attività dei R&T) sia estraneo alla materia del contendere. Ironia della sorte, proprio l’art. 40 del d.lgs. 165/2001 è stato invece richiamato dai Giudici di Bologna per giudicare nullo l’accordo sindacale del 2009 stipulato dal Direttore dell’Istituto che imponeva l’obbligo del badge anche ai R&T!

In conclusione, come affermato dalla Corte di Appello, “il sistema di rilevazione a badge previsto […] per verificare i tempi di presenza in sede [dei R&T] è palesemente in contrasto con la disciplina contrattuale“.

Da sottolineare anche che la Corte d’Appello, ritenuto che il ricorso in appello presentato dall’Istituto del CNR vertesse su questioni che il precedente giudizio “aveva permesso di affrontare e sviscerare” nella loro totalità e, avendo respinto integralmente l’appello, ha condannato l’Istituto del CNR al pagamento delle spese di lite del primo e del secondo grado, ammontanti a circa 25.000 euro.

Infine, bisogna ricordare che il Pareri dell’ARAN non hanno alcuna validità legale, non sostituiscono i contratti né danno l’interpretazione autentica di norme contrattuali. Di ciò sembra esserne consapevole lo stesso CNR dato che, nel discutere la causa presso la Corte di Appello di Bologna, non ha portato a sostegno della sua tesi il parere dell’ARAN sul presunto obbligo del cartellino, benché tale parere fosse stato formulato e pubblicato sul sito dell’ARAN già il 18 gennaio 2015, ossia mesi prima dell’udienza collegiale presso la Corte di Appello.


I Ricercatori e Tecnologi sono assoggettabili alla rilevazione della presenza in servizio attraverso la marcatura di badge individuale?

Perché l’orario di lavoro dei Ricercatori e Tecnologi del CNR non è articolato su 5 giorni settimanali

L’articolazione dell’orario di lavoro del personale degli EPR, R&T inclusi, su cinque o sei giorni alla settimana era contemplata dall’art. 10, comma 1, del DPR 568/1987 e, successivamente, dall’art. 39, comma 1, del DPR 171/1991.

Ma il CCNL del 5 marzo 1998, stipulato per i R&T nell’Area della Dirigenza, nel regolamentare l’orario di lavoro dei R&T attraverso l’art. 35, non ha previsto alcuna articolazione dell’orario di lavoro dei R&T in cinque o sei giorni alla settimana. Per di più, l’art. 80 “Disapplicazioni” di tale CCNL ha esplicitamente stabilito che sono inapplicabili, nei confronti del solo personale destinatario del CCNL (ossia Dirigenti amministrativi e R&T), alcune precedenti norme contrattuali, in particolare “art. 39 DPR 171/91; artt. 7 e 8 DPR 13/86; artt. 9 e 10 DPR 568/8“, che imponevano l’articolazione dell’orario di lavoro in cinque o sei giorni settimanali anche per i R&T. Né il successivo art. 58 del CCNL del 21 febbraio 2002, né la sua integrazione contenuta nell’art. 21 del CCNL del 7 aprile 2006, prevedono alcuna forma di articolazione dell’orario di lavoro dei R&T.

Tale articolazione è invece presente nel comma 1 dell’art. 48 del CCNL del 2002 che, disciplinando l’orario di lavoro del solo personale tecnico ed amministrativo, stabilisce che tale orario di lavoro “può essere articolato su cinque giorni ovvero su sei giorni per i servizi da erogarsi con carattere di continuità e che richiedono orari continuativi o prestazioni per tutti i giorni della settimana“.

Di conseguenza, mutuando il ragionamento fatto dalla Cassazione e dai Giudici di Bologna in merito ai sistemi automatici di controllo dell’osservanza dell’orario di lavoro, non essendoci alcuna fonte contrattuale o normativa specifica sull’articolazione dell’orario di lavoro dei R&T, l’orario di lavoro dei R&T non è articolato in cinque o sei giorni settimanali.

Né la contrattazione integrativa di ente, di cui all’art. 28 del CCNL del 7 aprile 2006, ripetendo quanto affermato dal Tribunale di Bologna, “ha ricevuto la facoltà di disciplinare, in deroga o a completamento delle disposizioni del contratto collettivo nazionale, la materia dell’orario di lavoro per i ricercatori e tecnologi“, anche in merito ad una eventuale articolazione dell’orario di lavoro in cinque o sei giorni alla settimana.

Solo “per gli Enti […] la cui attività si lega ad eventi eccezionali ovvero a scadenze istituzionali” è possibile introdurre, come già detto, ai sensi dell’art. 21 del CCNL del 2006, forme di disciplina della presenza in servizio dei R&T “in funzione degli incarichi loro conferiti e di specifiche esigenze organizzative connesse ai processi produttivi” attraverso lo strumento della concertazione.

Di conseguenza, un R&T del CNR può svolgere le sue 36 ore settimanali medie nel quadrimestre anche lavorando, ad esempio, 9 ore al giorno per 4 giorni alla settimana. Il quinto giorno risulterà semplicemente “non presente”.

La durata forfettaria di una giornata lavorativa (da definire necessariamente al fine di detrarre le ore da lavorare nel quadrimestre in caso di ferie, malattia, assenza compensativa) viene calcolata tenendo conto dell’orario di servizio della struttura di afferenza (di norma articolato in 5 gg alla settimana). Un giorno di malattia (o di ferie, o di assenza compensativa) produrrà una riduzione del monte ore quadrimestrale pari alla durata forfettaria di una giornata lavorativa (di norma 7 ore e 12 minuti) mentre un giorno di “non presenza” non comporterà alcuna riduzione del monte ore quadrimestrale.

Perché l’attività fuori sede dei Ricercatori e Tecnologi del CNR non richiede alcuna comunicazione preventiva

L’attività fuori sede dei R&T è normata dal comma 3 dell’art 58 del CCNL del 2002: “Lo svolgimento dell’attività al di fuori della sede di servizio deve essere autocertificato mensilmente“. Il contratto quindi non prevede alcuna comunicazione preventiva ma esclusivamente una autocertificazione mensile che non può che essere a consuntivo. Sarà cura dei R&T, così come previsto al comma 2 del medesimo articolo, assicurare la propria presenza in servizio “corredandola in modo flessibile alle esigenze della propria attività scientifica e tecnologica, agli incarichi loro affidati, all’orario di servizio della struttura in cui operano, tenendo conto dei criteri organizzativi dell’Ente“.

La possibilità di introdurre l’obbligo della comunicazione preventiva attraverso i contratti collettivi integrativi è preclusa in quanto, come affermato dalla Cassazione Civile (sentenze n. 9146 del 2009 e n. 14530 del 2014), “la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, restando escluso che le pubbliche amministrazioni possano assumere obbligazioni in contrasto con i vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali“, “con la conseguenza che le clausole difformi [ai CCNL] sono nulle e non possono essere applicate“.

Infine, neanche una costituenda “Commissione paritetica” di cui al comma 7 del medesimo art. 58 ha il compito o la facoltà di introdurre modifiche al comma 3 dell’art. 58 dato che il compito di tale Commissione è quello di “esaminare la possibilità di introduzione in via sperimentale di ulteriori modalità di gestione dell’orario di lavoro di cui al comma 1“.

4 thoughts on “Perché la Circolare 9/2019 è in larga parte illegittima

  1. Caro collega,
    grazie per il puntuale resoconto.; personalmente penso 1) non sia giusto/meritocratico assimilare un ricercatore ad un amministrativo; 2) va superata la concezione, l’idea per cui il lavoro di un ricercatore si misura ‘in ore’: vanno valutate le pubblicazioni, la partecipazione a gruppi di lavoro, progetti, convegni etc etc, altrimenti si rischia di ‘creare un modello per cui ricercatori incapaci, svogliati, assuefatti al meccanismo firma/rilevazione elettronica, si limitano a scaldare la sedia per 7h al giorno e stanno a posto con la coscienza così: non capisco se l’ente vuole che un ricercatore pubblichi, organizzi e partecipi a seminari/progetti o a questo punto ci chieda semplicemente di ‘scaldare la sedia’.
    Invece di vedermi misurate le ore di lavoro con il lanternino io vorrei un CNR aperto 24 h su 24 anche il fine settimana (sul modello del Max Planck), in modo che uno possa lavorare quando e come meglio creda, aperto senza tornelli o altro.
    Ilja Richard Pavone, ITB-CNR

  2. Concordo, per evitare dispersioni è meglio usare il Forum per la discussione non solo sulla circolare ma anche su questo importante documento di G. Pulcini che spiega dettagliatamente tutti gli aspetti della questione.

  3. Grazie infinite a Giampaolo
    per la chiarezza e le precise citazioni delle numerose sentenze in favore dell’autodeterminazione del tempo di lavoro dei ricercatori.
    Credo che non dobbiamo minimamente fare passi indientro, anzi cercare di portare avanti tutte le prerogative presenti nella carta europea dei ricercatori

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